Tornare alla scrittura non è semplice, ritrovarsi posto fra
le righe e le parole. Il desiderio rimane lì, congelato, surgelato e per
l’ennesima volta portato fuori per essere mangiato come un precotto. Ma quante
volte lo si può fare? C’è un limite dopo il quale diventa ridicolo e patetico?
Non è scrivere in sé ad essere sbagliato, ma il bisogno di trovare un fine remunerato
all’attività, volerla per forza trasformare in un lavoro, in una attività che
bisogna fare. Lasciati guidare dal semplice desiderio e goditi questo momento.
IL fatto di lasciar andare la penna virtuale della tua creatività, fargli
prendere il cipiglio del momento, senza la pretesa di scrivere il romanzo, ma
semplicemente fallo perché ti va di farlo: non è molto più divertente e
rilassante? Perché non ci ho pensato prima? Ho mai pensato di fare qualcosa
solo per il gusto di farlo? La filosofia mi è stata annacquata dalla
razionalità, da un sistema causa – effetto, dalla mania di controllo, da una
idea di tempo direttivo e direzionato verso un punto dopo. Così non mi lascio
libertà. E questa seggiola del treno è scomoda, il tavolino dovrebbe stare un
poco più sotto.
Non vorrei avere un tema continuo, uno schema nella mia vita
che continua a ripetersi come una caratteristica, un filo rosso a tutti i
momenti, come per Sophia Loren la continua fatica a chiedere normalità. Non
voglio che la mia colonna sonora sia l’insoddisfazione. La sensazione è quella
di stare in un contesto dove le fatiche e le energie sono talmente disperse da
essere rarefatte, di mandare avanti un carrozzone fantastico di illusioni e
materiali cangianti il cui contenuto ad alto rischio è che sia fumo e niente
arrosto. Di non essere apprezzato e supportato da chi dovrebbe portare con me
quel carrozzone, da chi credo di avere affianco, ma che magari è solo un
cartonato. Vogliamo davvero prenderci cura delle persone o stiamo pensando a
come portare a casa la pellaccia? Rendermi conto di essere solo a reggere
questo gioco, è davvero avvilente, come lo è mettermi nella condizione di
mettere a confronto la mia posizione con quella di altri che non reputo al mio
livello: cosa devo fare per provare di valere di più? Di meritarmi non solo lo
stipendio, ma il riguardo economico della mia posizione. Non sono un operatore,
né un referente, neppure un responsabile. Perché non vedermi come un manager?
Dovrei interrogarmi se davvero mi occupo di ciò che dico o sono solo parole, se
alla fine non mi riduco a povere operazioni logistiche, se non sono più queste
a qualificarmi agli occhi degli altri. In realtà gli altri non sono tutti: da
insegnanti, operatori e colleghi sono rispettato e preso in considerazione, ma
quando valico la soglia del direttorio ecco trasformarmi in un rompiballe,
fastidioso, presuntuoso piccolo uomo. E la rabbia che mi sale per non avere
risposte, o un momento serio di raccolta dove decidere cosa fare. E ancora
essere pagato nulla perché non c’è posto nell’organizzazione per una persona
che si occupa di questo, e allora fai solo il progettista, vai a zappare la
terra, a raccogliere moduli e rompere le balle agli altri per prendere dati che
non sapete neanche utilizzare, che non sono significativi se poi non portano ad
una presa di decisione!