sabato 17 dicembre 2016

Fili Rossi

Tornare alla scrittura non è semplice, ritrovarsi posto fra le righe e le parole. Il desiderio rimane lì, congelato, surgelato e per l’ennesima volta portato fuori per essere mangiato come un precotto. Ma quante volte lo si può fare? C’è un limite dopo il quale diventa ridicolo e patetico? Non è scrivere in sé ad essere sbagliato, ma il bisogno di trovare un fine remunerato all’attività, volerla per forza trasformare in un lavoro, in una attività che bisogna fare. Lasciati guidare dal semplice desiderio e goditi questo momento. IL fatto di lasciar andare la penna virtuale della tua creatività, fargli prendere il cipiglio del momento, senza la pretesa di scrivere il romanzo, ma semplicemente fallo perché ti va di farlo: non è molto più divertente e rilassante? Perché non ci ho pensato prima? Ho mai pensato di fare qualcosa solo per il gusto di farlo? La filosofia mi è stata annacquata dalla razionalità, da un sistema causa – effetto, dalla mania di controllo, da una idea di tempo direttivo e direzionato verso un punto dopo. Così non mi lascio libertà. E questa seggiola del treno è scomoda, il tavolino dovrebbe stare un poco più sotto.
Non vorrei avere un tema continuo, uno schema nella mia vita che continua a ripetersi come una caratteristica, un filo rosso a tutti i momenti, come per Sophia Loren la continua fatica a chiedere normalità. Non voglio che la mia colonna sonora sia l’insoddisfazione. La sensazione è quella di stare in un contesto dove le fatiche e le energie sono talmente disperse da essere rarefatte, di mandare avanti un carrozzone fantastico di illusioni e materiali cangianti il cui contenuto ad alto rischio è che sia fumo e niente arrosto. Di non essere apprezzato e supportato da chi dovrebbe portare con me quel carrozzone, da chi credo di avere affianco, ma che magari è solo un cartonato. Vogliamo davvero prenderci cura delle persone o stiamo pensando a come portare a casa la pellaccia? Rendermi conto di essere solo a reggere questo gioco, è davvero avvilente, come lo è mettermi nella condizione di mettere a confronto la mia posizione con quella di altri che non reputo al mio livello: cosa devo fare per provare di valere di più? Di meritarmi non solo lo stipendio, ma il riguardo economico della mia posizione. Non sono un operatore, né un referente, neppure un responsabile. Perché non vedermi come un manager? Dovrei interrogarmi se davvero mi occupo di ciò che dico o sono solo parole, se alla fine non mi riduco a povere operazioni logistiche, se non sono più queste a qualificarmi agli occhi degli altri. In realtà gli altri non sono tutti: da insegnanti, operatori e colleghi sono rispettato e preso in considerazione, ma quando valico la soglia del direttorio ecco trasformarmi in un rompiballe, fastidioso, presuntuoso piccolo uomo. E la rabbia che mi sale per non avere risposte, o un momento serio di raccolta dove decidere cosa fare. E ancora essere pagato nulla perché non c’è posto nell’organizzazione per una persona che si occupa di questo, e allora fai solo il progettista, vai a zappare la terra, a raccogliere moduli e rompere le balle agli altri per prendere dati che non sapete neanche utilizzare, che non sono significativi se poi non portano ad una presa di decisione!